Ugo Caruso
Capolavori Sconosciuti 1°appuntamento (lunedì 3 dicembre 2012)
Dolce, agrodolce tragicommedia, Maratona d’Autunno narra di un traduttore di mezza età, Andrei Buzykin (Oleg Basilashvili), la cui gentilezza quasi patologica lo ha intrappolato in una serie apparentemente infinita di situazioni imbarazzanti: la sua incapacità di respingere chiunque lo ha costretto a destreggiarsi tra moglie e amante, è sobbarcato da una grande quantità di lavoro supplementare non retribuito a favore di amici e studenti che costantemente interferiscono con i suoi progetti al punto da mettere a rischio la propria carriera. E poiché non può sopportare di far male a qualcuno, ha sempre preso la via più facile - il che ha comportato invariabilmente la costruzione di un vasto edificio di menzogne che egli non può più controllare e che ha l’effetto collaterale, ugualmente inevitabile, di far apparire un uomo fondamentalmente rispettabile, anche se debole, come la summa di un cafone donnaiolo. Il titolo si riferisce alle sue regolari sedute di jogging al mattino presto con Bill - ancora una volta avrebbe preferito fare qualcos’altro, come stare a letto, ma come poteva dire di no? Maratona d’Autunno è generalmente considerato come il migliore film del regista Georgy Danelja: un perfetto equilibrio tra commedia dolce e filosofia morale, qualcosa che il regista stesso ha definito “commedia triste”. E’un’opera in linea con la poetica malinconica delle commedie sottilmente ironiche in uso in Georgia al tempo di registi come Otar Iosseliani e Eldar Shengelaya, che a sua volta ricordano le tragicommedie classiche ceche degli anni sessanta, come Treni strettamente sorvegliati di Jiri Menzel o i primi film di Milos Forman, che sono probabilmente gli esempi più noti. Un film dimenticato e introvabile che riappare come d’incanto grazie alla cura e all’amore per il Cinema di Ugo G. Caruso.
Capolavori Sconosciuti 2°appuntamento (lunedì 25 marzo 2013)
Simon Magus, Ildikó Enyedi , 1998, 92’
Regia, soggetto e sceneggiatura: Ildikó Enyedi; Fotografia: Tibor Máthé; Montaggio: Mária Rigó; Musiche: János Másik; Cast: Péter Andorai, Julie Delarme, Péter Halász, Hubert Koundé, Mari Nagy; Paese: Francia, Ungheria 1998; Durata: 92 min
Per il secondo appuntamento di Capolavori sconosciuti ad Alphaville mi sembrava giusto proporre finalmente un film della cinematografia ungherese che amo e frequento da molti anni, a dispetto dell’indifferenza dei distributori italiani e della colpevole distrazione di gran parte della critica. La scelta è caduta su un titolo del 1998, SIMON MAGUS, diretto dalla regista Ildikó Enyedi, già autrice di prove convincenti come Il mio XX secolo e Il cacciatore magico. Da subito il film ci trasporta in un’atmosfera sospesa, incantata, a tratti surreale eppure riconoscibilissima nella sua contemporaneità. Chiamato dalla polizia francese a risolvere un misterioso delitto di cui non si riesce a venire a capo, Simon, un celebre veggente ungherese, arriva in treno a Parigi. All’arrivo lo attende una sua connazionale che gli farà da interprete durante il soggiorno parigino. Ma Simon, già alla stazione, è colpito da Jeanne, una ragazza che riuscirà a ritrovare per le strade della capitale francese grazie ai suoi poteri paranormali. Dunque, dopo aver risolto in modo molto inconsueto il caso di omicidio, Simon, maestoso, silenzioso, magnetico, carismatico (l’interprete è il grande attore magiaro Péter Andorai), si trattiene a Parigi per rivedere Jeanne. Deve però sfuggire gruppi di postulanti che lo seguono ovunque, invocando i suoi miracoli e seminare il poliziotto di origini africane assegnatogli come guida ma che, affascinato dai suoi poteri, gli si propone insistentemente come discepolo. Nel suo peregrinare per le strade di una gelida Parigi invernale, Simon si imbatte però in un altro mago, suo connazionale, un illusionista da palcoscenico, nella tradizione squisitamente ungherese di cui Houdini è l’esempio più celebre. Questi, una sorta di suo alter ego cinico e malvagio, è avido di fama e di pubblicità e pertanto lo sfida ad un duello mortale intorno al quale i media creano un’attesa morbosa e sensazionalistica. Simon vi si concede con riluttanza, pur sconsigliato dalla sua amica ungherese e dal flic, suo aspirante discepolo. Intanto, tre giorni dopo il loro ultimo incontro, Jeanne, ignara di tutto, lo attende con trepidazione nel luogo convenuto,. Per comprendere il finale a sorpresa, lo spettatore non potrà fidarsi solo del proprio sguardo ma dovrà cercare una verità più profonda e indecifrabile negli occhi dei personaggi del film. Rifacendosi alla figura di Simon Mago, sedicente messia nell’antica Roma, Ildikó Enyedi costruisce una moderna favola nera che è al contempo anche una delicata storia d’amore. Attraverso un intreccio di metafore mistiche e di suggestioni esoteriche ci conduce sul terreno incerto e ingannevole della percezione extrasensoriale, fino al labile confine tra il reale e l’irreale, in un clima rarefatto che si carica continuamente di tensione.
Al pari della sfida affrontata dal mago ce n’è un’altra che è quella vinta dalla regista con questo film originale e ammaliante, vale a dire, quella di andare oltre i limiti convenzionali del visibile e del filmabile, acquisendo nuovi ed inesplorati territori alle capacità del racconto cinematografico. Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 3°appuntamento (lunedì 15 aprile 2013)
L’INAFFERRABILE FALSO CAMERIERE, L.Smoljac, Cecosl, 1980, 95’
Commedia, con Josef Abraham, Libuse Jafrankova, Daniela Bakerova, Zdenek Sveràk
Per il terzo appuntamento del ciclo I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso, Ia scelta è caduta su un titolo cecoslovacco del 1980, L’Inafferrabile falso cameriere diretto da Ladislav Smoljàk ed interpretato da Josef Abraham, Daniela Bakerova, Libuse Jafrankova, Zdenek Sveràk. Ecco come ce lo presenta Ugo G. Caruso:“ Una sera cercando tutt’altro titolo nel babelico disordine della mia nastroteca , mi imbatto per caso in un film registrato per pura curiosità e sbirciato a tratti, senza audio, una decina d’anni prima sulla televisione satellitare, ai tempi belli e rimpianti di Tele+ e poi, come tanti altri, mai più visto integralmente. Si tratta di un film cecoslovacco del 1980. Il titolo è banale, Corri ragazzo corri, ancorché incongruo poiché dalla prima scena scopriamo che il protagonista ha appena compiuto quarant’anni. D’altro canto non potevano intitolarlo Corri uomo corri perché con lo stesso titolo c’era già uno spaghetti-western del 1968, diretto da Sergio Sollima con Tomas Milian. Da una breve ricerca sui soliti repertori, il titolo originale risulta essere Vrchnì, Prchni!, un chiaro gioco di assonanze in lingua boema ma che tradotto alla lettera in italiano suonerebbe più o meno come Capo, fugge!, davvero di difficile presa sul pubblico. Tra una cosa e l’altra si è fatto molto tardi ma decido di vedere comunque il film. Mi ritrovo a notte fonda a ridere di gusto come non mi capitava da tempo, neppure nello spazio più congeniale della sala buia. Dalle prime sequenze ho una rivelazione subitanea: è il film che volevo! Avvalendomi del fatto di essere forse l’unico detentore di una copia della pellicola decido d’arbitrio con una piccola manovra di editing di cambiargli il titolo, traducendolo a senso come L’inafferrabile falso cameriere. Il film è perfetto per il mio scopo in quanto il soggetto e la sceneggiatura per di più sono di Zdenek Sveràk che fa dunque da ideale trait-d’union tra le memorabili stagioni avanguardistiche della Nova Vlna che lo videro già attivo e i recenti successi internazionali nei film diretti dal figlio Jan e da lui scritti ed interpretati (Kolja e Vuoti a rendere).Non dirò nulla riguardo alla vicenda raccontata nel film, salvo che l’ambientazione praghese è suggestiva ma tutt’altro che scontata e cartolinesca. L’inafferrabile falso cameriere è infatti una commedia malinconica ma al tempo stesso a tratti esilarante, soprattutto nel finale quando il ritmo si fa rutilante come in certi film indimenticabili di Milos Forman, Jiri Menzel o Jaroslav Papousek, grazie ad una serie di geniali trovate di sceneggiatura introdotte da Sveràk che si ritaglia pure per sé il ruolo del vicino ficcanaso. Il film si iscrive a pieno titolo nella migliore tradizione umoristica nazionale, la stessa che pervade l’opera di scrittori come Jaroslav Hasek e Bohumil Hrabal.Un tocco di umorismo ebraico invece lo dà di suo l’attore Joseph Abraham, convincentissimo nel ruolo del protagonista, Dalìbor Vràna, libraio in eterne difficoltà economiche, erotomane e seduttore impenitente, sospinto ai margini della grigia e burocratica società comunista ma per necessità (ed estro) fantomatico cameriere fasullo..A quasi quindici anni di distanza dalla normalizzazione dettata dal regime di Mosca e delle briglie imposte a molti cineasti e della fuga d’oltreoceano di alcuni di loro, il film di Smoljàk (e di Sveràk) è pervicacemente animato dagli stessi umori e temi, come l’irrompere dell’umano con la sua carica di vitalismo e d’irregolarità, quasi a volere slargare le strette maglie di una società autoritaria, ingiusta e disumanizzante”. Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 4°appuntamento (lunedì 20 maggio 2013)
The wicker man, Robert Hardy , 1973, 103’circa
Regia: Robert Hardy; soggetto e sceneggiatura: Anthony Shaffer e David Pinner; Fotografia: Harry Waxman; Montaggio: Eric Boyd-Perkins; Musiche: Paul Giovanni e Gary Carpenter; Cast: Edward Woodward, Christopher Lee, Diane Cilento, Britt Ekland, Lindsay Kemp Paese: GB, 1973; Durata: 100’circa
"Per il mio cineappuntamento n° 4 ho pensato ad un film raro ed inedito in Italia, decisamente maudit a causa delle tante traversie distributive che gli sono valse le stimmate del film di culto tra i suoi tanti fan d'oltremanica. Ho scoperto The wicker man grazie ad un vhs regalatomi da mio fratello Roberto che vive a Londra dalla metà degli anni ottanta e che non voleva credere che, a dispetto dei tanti adoratori del genere horror, il film fosse da noi del tutto ignoto. Ne rimasi subito affascinato e mi ricordai di averne visto a suo tempo qualche sequenza in un documentario della BBC sui film del terrore made in England. Consultai dunque alcuni repertori britannici per avere conferma che la fama del film era un'acquisizione recente al termine di lunghi travagli . E dire che la sua fortuna contorta e tardiva era iniziata proprio in Italia con la vittoria nel 1973 del primo premio al Festival della fantascienza di Trieste, per essere poi dimenticato non solo dai distributori ma anche dalla critica nostrana che nella sua stragrande maggioranza continua ad ignorarlo. The wicker man è certamente un film strano, insolito, inclassificabile, una sorta di unicum, a dispetto di quanti non possono fare a meno delle forzose etichettature. Scritto da uno sceneggiatore di fama, Anthony Shaffer, fratello di un drammaturgo ancora più noto, Peter (Equus, la sceneggiatura di Amadeus) e diretto da un regista di talento ma poco fortunato come Robin Hardy, interpretato da un cast bizzarro: Edward Woodward, star televisiva inglese, scelto solo dopo il rifiuto opposto da Michael Yorke e da David Hemmings, la sexy star svedese Britt Ekland, già moglie di Peter Sellers e interprete delle scene erotiche tagliate dalla censura, l'attrice australiana Diane Cilento, nota all'epoca per essere la moglie di Sean Connery, la polacca Ingrid Pitt, presenza fissa degli horror vampireschi della Hammer, Lindsay Kemp non ancora assurto alla fama di celebrato regista e coreografo e soprattutto Christopher Lee che desiderava fortemente fare questo film e che lo considera a tutt'ora il migliore della sua carriera, il film ha alimentato un culto tale da spingere ogni anno una quantità di suoi ammiratori nelle suggestive location di Summerisle a riprodurne ,come in un rituale, l'incendiario finale. Inseritodal British Film Institute tra i cento migliori film britannici di sempre ,The wicker man di cui non proprio facilmente siamo riusciti a recuperare la director's cut (che reintegra le sequenze di nudo di cui sopra, inesistenti nelle versioni commerciali) è tante cose insieme: horror psicologico o se preferite thriller antropologico-culturale , fiaba nera, apologo dal gusto surreale sulla relatività di concetti come "bene" e "male", metafora del difficile rapporto tra la madre Inghilterra e le sue terre celtiche. Il remake diretto nel 2006 da Neil LaBute, anodino e scombiccherato , ha contribuito a riportare l'attenzione sull'originale e a farne risaltare ulteriormente le qualità. Il suo maggiore pregio resta in quell' atmosfera di spaesamento che circonda le indagini del protagonista, nella tensione latente che sembra voler esplodere da un momento all'altro e dunque nel finale crudele beffardo e tragico che si compone in un macabro affresco. All'indubbia originalità espressiva il film unisce un indiscutibile valore di testimonianza dell'epoca in cui fu concepito, vale a dire gli anni settanta con le sue trasgressioni, riconoscibili nei riti orgiastici di marca druidica e nello spirito comunitario che lega fra loro gli abitanti dell'isola di Summerisle che rimanda ai figli dei fiori e alla pratica del libero amore". Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 5°appuntamento (lunedì 7 ottobre 2013)
Ne le dis à personne, G.Canet , 2006, 125’
Regia: Guillaume Canet; Sceneggiatura: G.Canet e P.Lefebvre; Soggetto: Harlan Coben (romanzo) Fotografia: Christophe Offenstein; Montaggio: Hervè de Luze; Musiche: Mathieu Chedid; Cast: F.Cluzet, M.J.Croze, K.Scott Thomas, A.Dussolier, J.Rochefort, N.Baye, G.Lellouche; Paese: Francia, 2006; Durata: 125.
Per il quinto appuntamento di Capolavori sconosciuti ad Alphaville Cineclub mi piace proporre un film (in versione originale con sottotitoli in italiano) della cinematografia francese contemporanea che amo e frequento da sempre, a dispetto dell’indifferenza dei distributori italiani e della colpevole distrazione di gran parte della critica. Come spesso in questi casi, impossibile non notare le piccole stranezze della distribuzione nostrana: il lungometraggio di Canet, talentuoso attore francese, dietro la macchina da presa per la seconda volta, è uscito nel paese d'origine quasi quattro anni fa, nel novembre 2006. Per poi conoscere nei mesi successivi un successo senza precedenti: quattro Cèsar (regia, attore, montaggio e musiche) all'inizio del 2007, distribuzione globale, persino una recente uscita limited nei teatri statunitensi che ha suscitato non pochi entusiasmi da parte della critica. Ma che fine ha fatto, in Italia, Ne le dis à personne? Sorprende che, nonostante la facilità fraterna con cui accogliamo spesso e volentieri opere d'oltralpe che poi vengono tacciate di eccessiva "francesità", si sia dimenticato per strada questo thriller mozzafiato. Soprattutto perché Canet, nonostante la scarsa esperienza, è proprio un regista sorprendente. Furibondo e insieme misurato: doverosamente egocentrico nello sfoggio di una tecnica notevole (come nelle lunghissime fughe a piedi della parte centrale), così come sa tirare fuori i muscoli quando è il momento allo stesso modo sa mettersi da parte in caso contrario. Il film, prodotto da Luc Besson, è basato su un romanzo dello scrittore americano Harlan Coben, Tell no one, adattato per lo schermo dal regista insieme a Philippe Lefebvre. Merito di Canet è stato quello di riuscire a condensare in maniera efficace la complessa materia narrativa del libro di Coben, con un intreccio articolato in numerose sotto-trame in cui passato e presente si confondono e si sovrappongono. Il nucleo della vicenda è costituito dal mistero sulla tragica morte di Margot Laurentin (Marie-Josée Croze), raccontato nel prologo. Otto anni più tardi il suo tormentato vedovo, il pediatra Alexandre Beck (François Cluzet), si trova improvvisamente a dover fare i conti con quei terribili avvenimenti e con i numerosi dubbi che circondano l’assassinio di sua moglie, donna-fantasma ricomparsa dal nulla, secondo un topos basilare del cinema noir (da Vertigine di Otto Preminger a La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock).Il resto lo fa l'ottimo cast, François Cluzet in primis, e una storia che va a scavare nei segreti e nelle bugie senza però essere morbosa o torbida. Ma Ne le dis à personne non è solo tesissimo e ricco di colpi di scena! Grazie ad una sceneggiatura tra le più intricate che si ricordi , unita ad un'intelligente e coesa doppia risoluzione mostra, con il suo straziante e romantico finale, il coraggio di essere catartico solo a metà - macchiando con le lacrime di compromesso una felicità raggiunta con il sudore e con il sangue, a rischio della propria vita. Hai detto niente. Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 6°appuntamento (martedì 15 ottobre 2013)
Medium - Replica di un omicidio
Jacek Koprowicz, 1986, 125’
Regia: Jacek Koprowicz; Soggetto e sceneggiatura: Jacek Koprowicz; Fotografia: Wit Dabal; Montaggio: Miroslowa Carlicka; Musiche: Krzesimir Debski; Cast: Jerzy Stuhr, Grazyna Szapolowska … Ottobre 1933.
Nell'elegante stazione balneare di Sopot, sulla costa baltica , un noto parapsicologo,il professor Wagner, aderente alla Loggia di Londra della Società Teosofica, apprende da sua sorella Greta, dotata di poteri extrasensoriali, che in quel preciso istante per la città si aggirano, ognuno per proprio conto e ciascuno ad insaputa degli altri, tre individui, due uomini ed una donna, guidati dalla volontà di un misterioso medium dai poteri straordinari. Uno dei tre, inconsapevolmente, è proprio il commissario Selin, incline all'alcol e allergico al nazismo appena impostosi al potere, al contrario del suo assistente Krank, un giovane ambizioso e senza scrupoli che per ragioni di carriera ha aderito con zelo al nuovo regime. Per sincerarsi delle condizioni di salute del signor Orwitz, titolare di un negozio di animali ed ammalato gravemente di diabete, i due si ritrovano nella lussuosa villa di questi dove molti anni prima era stato commesso un triplice omicidio passionale dai risvolti morbosi il quale, bambino superstite all'epoca nonchè figlio di due delle vittime, viene ora ritrovato in condizioni disperate e subito ricoverato per coma diabetico. Mentre la città è percorsa da minacciosi e trionfanti cortei di camicie brune in un clima opprimente di sospetto e delazione, Selin e il suo vice conducono indagini separate sul vecchio caso di cronaca nera. Krank che d'accordo con i gerarchi locali vorrebbe soppiantare il proprio superiore, attraverso ricerche d'archivio scopre una serie di particolari sul fosco fatto di sangue. Dal canto suo, Selin entra in contatto con il professor Wagner e sua sorella che gli spiegano come il potente medium intenda riprodurre quegli efferati omicidi avvalendosi di tre “doppelganger”, perfetti sosia del misfatto originale, facendoli convenire nel luogo del delitto e ricreando le condizioni del crimine. Un delitto per metempsicosi. L'ora prescelta è vicina, quella dell'eclissi solare annunciata, perfetta per il favore dell'oscurità e perchè tutti saranno distratti dal fenomeno. Come impedire il ripetersi di quello scenario contro la volontà del potentissimo medium? Chi è costui e per quale ragione ha ordito un piano così incredibile? Dietro si nasconde di certo un terribile segreto. Se l'esperimento riuscisse non solo qualcuno potrebbe disporre di altri individui per i suoi piani criminali ma sarebbe in gioco addirittura il potere dell'immortalità... Premiato per la migliore sceneggiatura al Mystfest di Cattolica del 1986, dove mi destò una certa impressione (riconoscendo nel cast i “kieslowskiani”), il film diretto da Jacek Koprowicz, ignorato dai soliti repertori e dizionari cinematografici, nonostante una fugace uscita nelle nostre sale ed un altrettanto “invisibile” passaggio televisivo, può ritenersi un capolavoro del mistery o, comunque, un' opera notevole ed originale, beninteso molto distante dai suoi omologhi di genere americani e pure dell'Europa occidentale. Le sue atmosfere sospese e rarefatte attingono agli umori neri di cui è intrisa la migliore letteratura polacca (Witkiewicz, Schulz, Gombrowicz, Mrozek), l'ordito invece rimanda agli intrecci vertiginosi di scrittori “asburgici” come Leo Perutz e Alexander Lernet-Holenia, senza dimenticare i riferimenti più strettamente cinematografici a grandi manipolatori delle coscienze come il Dr. Caligari ed il coevo Dr. Mabuse, visionarie premonizioni espressioniste della tragedia nazista incombente. C'è, mi pare chiaro, una feconda tradizione “mitteleuropea” nel campo del mistery, dell' intrigo dai risvolti fantastici o a sfondo esoterico, del giallo “metafisico”, del romanzo d'intreccio dalle atmosfere noir, basterebbe pensare a Gustav Meyrink ma soprattutto, ancor prima di lui, a tutta la tradizione cabalistica della letteratura ebraica antica. Medium. Replica di un'omicidio è consustanziale a questo fecondo clima culturale e ne prolunga degnamente la linea. Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 7°appuntamento (martedì 29 ottobre 2013)
Liberty Heights
Barry Levinson, 1986, 125’ v.o. sott.
Regia: Barry Levinson; Soggetto e sceneggiatura: Barry Levinson Fotografia: Christopher Doyle; Montaggio: Stu Linder; Musiche: Andrea Morricone; Scenografia: Vincent Peranio
Stati Uniti 1954. La segregazione razziale non dovrebbe esistere più, ma la realtà è ben diversa. La minaccia dell'esclusivo country club della città che invita a star fuori ebrei, cani e gente di colore è la chiara testimonianza che i tempi non stanno proprio cambiando. Così Ben Kurtzman (Ben Foster) e i suoi amici sono costretti a stare fuori perché sono ebrei. Nella classe di Ben entra comunque la prima persona di colore, Sylvia (Rebekah Johnson), che attrae subito il ragazzo nonostante le opposizioni del padre di lei. Intanto il padre di Ben, Nate (Joe Mantegna, "Una valigia a 4 zampe", "The runner") cerca un nuovo modo per far soldi dato che il suo spettacolo di varietà non va poi tanto bene. Decide così di ideare un lotto clandestino nel quartiere; le cose vanno bene fino a quando Little Melvin (Orlando Jones, "Magnolia", "Impiegati...male") un piccolo spacciatore, vince e Nate non ha i soldi per pagare. Dapprima Nate e i soci cercano di ingannare Melvin, ma lui vuole subito i soldi. E quando una notte vede la cadillac nuova di Nate parcheggiata fuori dalla sala dove c'è un concerto di James Brown (e presa in prestito da Ben per uscire con Sylvia), rapisce i ragazzi per avere i suoi soldi.La famiglia Kurtzman è composta anche da Van (Adrien Brody, "Summer of Sam", "La sottile linea rossa") che con i suoi amici si reca ad una festa di Halloween per non ebrei; lì si innamora della bella aristocratica Dubbie (Carolyn Murphy) anche se gli amici della ragazza non accettano il fatto che sia ebreo. Incredibilmente fa però amicizia con il ragazzo di Dubbie, Trey (Justin Chambers) che grazie al legame con Van abbandona quel comportamento che solitamente si sforza di mantenere.Il regista Barry Levinson (l'autore di "Rain Man") ci presenta una nuova saga familiare che si sviluppa attraverso i problemi razziali e le difficoltà di integrazione. Attorno a questo problema di base ci sono poi le storie e i destini di vari personaggi che si intrecciano e le esperienze che vivono li aiutano a diventare più riflessivi e privi di pregiudizi nei confronti di una società multirazziale che si appresta a svilupparsi in maniera sempre più veloce nell'America dei decenni successivi. Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 8°appuntamento (martedì 3 dicembre 2013)
A Venezia … un dicembre rosso shocking
Nicolas Roeg, 1973, 110’
Interpreti: Donald Sutherland, Julie Christie, Massimo Serato, Hilary Mason, Clelia Matania, Leopoldo Trieste, Renato Scarpa
Capolavoro certamente, sconosciuto non proprio Don’t look now ( A Venezia un dicembre rosso shocking.) di Nicolas Roeg appartiene piuttosto alla categoria di quei film che, perseguitati in Italia da vicende distributive avverse poi ripetutesi pure in fase di passaggi televisivi e di home video, è stato visto complessivamente molto meno di quanto si supporrebbe. In Gran Bretagna la sua sorte lo collega invece ad un altro titolo inglese coevo che vi abbiamo già proposto, The Wicker Man di Robin Hardy, altra opera eccentrica rispetto alla produzione d’oltre Manica, inedito da noi. Insieme tagliuzzati e ridotti alla durata di un doppio spettacolo per le platee estive, finirono col costituire il double più straordinario di sempre dal momento che il film di Roeg fu premiato come il miglior titolo inglese del 1973 e quello di Hardy entrò tra le 100 pellicole britanniche più rimarchevoli di sempre. Quella che proponiamo, così come si conviene ad un’opera di alto pregio, è finalmente la versione integrale e originale sottotitolata, ben diversa e più lunga di 10’ da quella che è circolata in Italia. Venezia è considerata per antonomasia una delle città più affascinanti e romantiche del mondo e innumerevoli film ne hanno fatto lo scenario ideale di commoventi storie d’amore. Non è certo il caso di questa pellicola diretta nel 1973 dal regista inglese Nicolas Roeg, intitolata “A Venezia… un dicembre rosso shocking”, che ci rappresenta – al contrario del solito – una Venezia quanto mai spettrale e sinistra, una vera e propria città da brivido. Tratto dal racconto “Non voltarti”, firmato da Daphne Du Maurier (tra gli altri, autrice di "Rebecca la prima moglie" e "Gli uccelli", entrambi portati sullo schermo da Hitchcock) il film di Roeg, interpretato da due divi del calibro di Julie Christie e Donald Sutherland, ha riscosso un notevole successo di pubblico all’epoca della sua uscita, e resta ancora oggi uno dei più famosi thriller del cinema britannico, oggetto di infiniti omaggi e citazioni. Tre sono le sequenze che spiccano maggiormente in questo incredibile secondo film di Nicolas Roeg, meno celebre da noi che in patria, dove è invece considerato tra le massime vette del cinema inglese, tanto da meritarsi un ottavo posto nella nota Top 100 del BFI, forse a causa dell'improbabile titolo italiano o forse per il ridotto numero di passaggi televisivi dovuto a - ovvi - problemi con la censura. La prima è quella che apre il film: un incredibile pezzo di cinema in cui ogni certezza linguistica (e, scopriremo procedendo nella storia, narrativa) viene immediatamente spazzata via, in modo sistematico e assolutamente sperimentale, trasformando gli stacchi tra le inquadrature in veri e propri connettori psichici, e facendo del montaggio stesso un sistema associativo a sé stante, senza precedenti. Che porta sì, inevitabilmente, alla tragedia: ma il geniale stacco finale spezza la sequenza con un utilizzo dell'anticlimax che risulta ancora oggi sconvolgente. La seconda è quella, arcinota e lunghissima, dell'amplesso tra Donald Sutherland e Julie Christie: una sequenza che fece molto parlare di sé per la sua estrema franchezza, e forse troppo, distogliendo il discorso sul film da altri caratteri dell'opera. Ma si tratta certamente - con il suo dissacrante e innovativo montaggio parallelo tra il coito e il post orgasmic chill - di una delle sequenze (non solo "di sesso") più seminali della storia del cinema. Ultimo, l'inseguimento finale, in cui la fiaba di Cappuccetto Rosso viene replicata tra le calli e i rii veneziani per poi essere ribaltata e macchiata col sangue.Ma tutto il resto del film di Roeg, a distanza di 35 anni, è ancora un vero gioiello di cinema europeo, e tramite il suo linguaggio liberissimo, furioso e analitico al tempo stesso, pieno di presagi e follemente innamorato dei dettagli che li compongono (come il tema dell'occhio, della vista, reiterato ossessivamente fin dal titolo), con la sua Venezia "laterale", fredda e cupa, è ancora un film capace di perturbare, per i suoi mille misteri ancora irrisolti (il vescovo di Massimo Serato, il commissario di Renato Scarpa), ma anche solo con una risata, inquietante come poco altro, di fronte a uno specchio sbiadito - o una diapositiva macchiata di rosso, come il futuro funesto che non aspetta altro che poter consumare la sua catarsi. Ugo G. Caruso
Alla serata sarà presente l’attore Renato Scarpa, tra gli interpreti del film.
Capolavori Sconosciuti 9°appuntamento (martedì 13 maggio 2014)
Martedì 13 maggio 2014 alle ore 21.00
Alphaville, il martedì’
Presenta
‘Capolavori sconosciuti’
Il Cinema invisibile a cura e con Ugo G.Caruso
West Beyrouth,
Ziad Doueiri
Fr/Bel/Norv, 1998, 100’
Riprende a grande richiesta all’Alphaville di Roma, e non a caso in primavera, il ciclo dei Capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso, giunto al nono incontro e stavolta dedicato ad una pellicola nello stile di Truffaut tutta da ri-scoprire, quasi a voler aprire in Libano il cerchio degli amori e della fatica a diventare grandi che caratterizzerà le visioni di questa settimana, dedicate proprio a Truffaut ed al suo ‘doppio’ Antoine Doinel!
WEST BEYROUTH(À l'abri les enfants)
Regia e sceneggiatura di Ziad Doueiri. Con Rami Doueiri, Mohamad Chamas, Rola Al Amin, Carmen Lebbos, Joseph Bou Nassar, Lialiane Nemri.Fotografia: Ricardo Jacques Gale Musica Stuart Copeland - Francia, Belgio, Norvegia 1998.
Beirut, 13 aprile 1975. Scoppia violentissima la guerra civile in Libano. La capitale viene divisa in due parti: una sotto il controllo dei musulmani, l'altra sotto il controllo dei cristiani. Tarek e Omar, due adolescenti, non possono più frequentare il loro liceo che si trova nella parte est, occupata dalle milizie cristiane. Per i due cominceranno, così, lunghe giornate passate a girovagare per Beirut, in compagnia della loro amica (cristiana) Mary. La guerra rappresenterà per loro motivo per crescere e scoprire la realtà della loro martoriata città.
Convincente opera prima di Z.Doueiri, interamente finanziata con capitali europei, scritta e diretta dal regista libanese emigrato nell'83 in California dove ha studiato cinema, West Beirut è una pellicola largamente autobiografica in cui i ricordi felici prevalgono su quelli dolorosi.La riuscita del film deriva soprattutto da tre fattori: la vivacità con cui racconta i personaggi, i dialoghi adrenalinici, la suggestione dei paesaggi urbani della città che ancora conserva le cicatrici di una guerra che, prima di Sarajevo, devastò un altro mediterraneo punto d'incrocio di culture, etnie, religioni.Dal punto di vista strettamente stilistico, la formazione di Doueiri è legata alla sua ormai lunga esperienza americana, ma ciò che colpisce maggiormente di West Beirut è la vivacità del racconto e la modernità dell'impianto formale. Ziad Doueiri, infatti, dimostra di aver imparato la lezione americana a perfezione, utilizzando con grande perizia alcuni elementi fondamentali: macchina a spalla, recitazione concitata, montaggio nervoso e tanta musica anni '70. Ne esce fuori il ritratto di un Libano che, pur devastato da un'assurda e atroce guerra civile, è contraddistinto da una realtà sociale viva, stimolante e vicina ai meccanismi evolutivi del suo tempo.L'adolescenza di Tarek e Omar, dunque, non sembra molto diversa da quella dei loro coetanei di qualsiasi altro paese: le prime pulsioni sessuali, i primi amori, l'amicizia, il divertimento gratuito, la passione per la musica alla moda e per i pantaloni a zampa d'elefante.Eppure, nonostante ciò, Doueiri è riuscito a compiere il miracolo di raccontare Beirut in tutto il suo spirito mediorientale. Le strade pulsanti, i mercatini caotici, le moschee, i venditori di falafel, quartieri pieni di una vitalità tutta araba.A rendere veramente divertente quest'opera sono anche i protagonisti principali: i due ragazzi libanesi sono stati capaci di esprimere con assoluta naturalezza una varietà enorme di stati d'animo. Anche questa loro incredibile abilità ha contribuito a fare di West Beirut una pellicola mai noiosa e scontata.Il film, facendo ovviamente le debite proporzioni, fa tornare in mente certe atmosfere alla Truffaut (I quattrocento colpi, soprattutto), non solo per il suo argomento centrale, ma anche per quel tono al tempo stesso fresco e malinconico che attraversa l'intera vicenda.Il regista, dunque, ha dimostrato di essere un cineasta di sicuro talento, creatore di un linguaggio in cui si fondono in maniera armoniosa due diversi aspetti: la brillantezza del cinema occidentale contemporaneo e la cultura storica e artistica del popolo arabo. Un film su un mondo che sembra lontano, come ogni tragedia, prima che ti colpisca. Ugo G. Caruso
Capolavori Sconosciuti 10°appuntamento (sabato 6 dicembre 2014)
Sabato 6 dicembre 2014 alle ore 21.00
Alphaville
Presenta
‘Capolavori sconosciuti’
Il Cinema invisibile a cura e con Ugo G.Caruso
LA GUERRA, IL CINEMA, IL CORAGGIO, L'AMORE E .... NIENT'ALTRO, SECONDO TAVERNIER
con il film ‘Laissez passer’
di Bertrand Tavernier
Con Jacques Gamblin, Denis Podalydes, Marie Gillain, Charlotte Kady, Marie Desgranges
Drammatico, durata 170 min. - Francia 2001
Film ambientato negli anni dell'occupazione tedesca di Parigi che ricostruisce la vicenda di due cineasti francesi, Jean Devaivre e Jean Aurenche.
Per festeggiare il piccolo traguardo del "suo" decimo capolavoro, Caruso promette inoltre una vera chicca per cinefili, il breve assaggio di un titolo proprio di Deveivre, La signora delle 11, un noir raro e molto originale del 1947.
Per un'occasione speciale come il decimo appuntamento del ciclo I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso la scelta del curatore non poteva che cadere su un film straordinario quale sicuramente è Laissez-passer e su un autore come Bertrand Tavernier che nella sua filmografia di capolavori ne annovera un bel pò (Che la festa cominci, Una domenica in campagna, Round Midnight' La vita e niente altro). Nonostante la sua evidente superlatività, il film è ancora ben lontano dall'acquisire lo status di capolavoro, forse per le recensioni tiepide raccolte in Francia o addirittura per le accuse di revisionismo mossegli da qualche idiota. Dunque sconosciuto non proprio ma neppure capolavoro conclamato. E così Ugo G. Caruso ha buon gioco nel proporlo nella sua rassegna perorando al contempo il riesame del caso da parte della critica. Laissez- passer è un film sul cinema ma non è un meta-film come sarebbe probabilmente divenuto nelle mani di un autore della Nouvelle Vague. Com'è noto, Tavernier si colloca agli antipodi dei suoi colleghi ex Cahiers e realizza un film ispirandosi a fatti e personaggi reali che nel caso sono cineasti noti come il regista Jean Devaivre (Jacques Gamblin) e lo sceneggiatore Jean Aurenche (Denis Podalydès), il quale più tardi insieme a Pierre Bost darà vita alla più celebre coppia di scenaristi del cinema classico francese. A conferma di un'insanabile divergenza estetica va detto che Aurenche e Bost, identificati coll'odiato "cinéma de papa", furono bersaglio degli strali lanciatigli dagli enfants terribles che si formarono intorno ad Andrè Bazin mentre Tavernier si ritrovò a collaborare con loro.Tornando a Laissez-passer, il film è ambientato a Parigi nel marzo 1942 durante l'occupazione tedesca. La Continental è una casa di produzione fondata nel 1940 da Albert Greven ma passata sotto il controllo dei tedeschi. Qui si fa assumere Jean Devaivre, uomo d'azione, coraggioso e impulsivo ma solo per coprire meglio il suo impegno nella Resistenza.Al contrario, Jean Aurenche, poeta e donnaiolo alle prese con tre amanti, fa di tutto per non collaborare con gli occupanti. Intorno ai due Jean gravita una folla di personaggi complementari, un milieu vividamente descritto da Tavernier con tocchi rapidi ed efficaci. Alla Continental però non si producono solo film di propaganda ma anche opere ambigue e corrosive che spesso fanno saltare i nervi a Goebbels. La sceneggiatura si basa su fatti reali, molti dei quali appartengono alla storia del cinema francese ma pure probabilmente attinte da Tavernier alle confidenze che a suo tempo gli avrà fatto lo stesso Aurenche. Tra i personaggi di contorno sfilano Maurice Tourner, Henri Georges Cluzot, Charles Spaak, Jean Paul Le Chanois, Andrè Cayatte, Claude Autant-Lara mentre Michel Simon si intravede di spalle e di Harry Baur si menziona l'arresto e le torture subìte dalla Gestapo. La Continental diventa così lo specchio della Francia di Petain con tutte le sue angosce, le sue miserie, il suo arrabbattarsi, le sue ansie di riscossa. Ad un tratto una battuta recita: "C'è chi fabbrica pane e chi fabbrica film". Laissez-passer è per l'appunto un film-romanzo, un dramma asciutto, forte, dal ritmo battente che sa alternare momenti di grande lirismo (la lunga sequenza della traversata in bicicletta del Nord della Francia da parte di Devaivre) ad altri umoristici (il farsesco incontro del protagonisti con i servizi segreti inglesi) in cui Tavernier, grazie ad una non comune capacità di controllo della materia narrativa nonostante la sua considerevole ampiezza (170'), perviene ad un affresco corale magistralmente orchestrato, una tranche di comédie humaine di alta scrittura. E se non è questa la descrizione di un capolavoro....
Capolavori Sconosciuti 11°appuntamento (lunedì 8 dicembre 2014)
Lunedi 8 dicembre 2014 alle ore 21,00
Alphaville
Presenta
‘Capolavori sconosciuti’ n.11
Il Cinema invisibile a cura e con Ugo G.Caruso
con il film James Bond - Al servizio segreto di Sua Maestà
Peter Hunt,GB,1969, 120’
Per NATALE TORNA JAMES BOND MA STAVOLTA E' AL CINECLUB Alphaville di Roma!!!
"Il mio nome è Bond, James Bond". Tante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase ma mai dallo schermo di un cineclub. Sembra impossibile che tutti i generi e i filoni del cinema popolare, anche i più "bassi", abbiano trovato ospitalità nei templi della cinefilia meno che il popolarissimo Agente 007, protagonista della serie più longeva della storia del cinema. Ci ha pensato allora Ugo G. Caruso, bondiano dall'infanzia per ragioni anagrafiche, a riparare all'assurda dimenticanza, inserendo il titolo più negletto e "maltrattato" della saga nella sua rassegna. Infatti lunedì 8 dicembre’14 alle ore 21 al Cineclub Alphaville di Roma (v. del Pigneto, 283) per l'undicesimo incontro del ciclo "I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso" è in programma "Al servizio segreto di Sua Maestà" (G.B. 1969), diretto da Peter Hunt, 6 film della saga dedicata al mitico James. Qualcuno storcerà il naso,"Capolavoro un film di 007?". Non come potrebbe esserlo un'opera di Dreyer, di Bunuel o di Mizoguchi, s'intende,-spiega Caruso-ma un capolavoro nel genere della spy - story, anzi nel "genere Bond". Uscito nel 1969 per le feste di Natale nelle sale di tutto il mondo, come da consuetudine, il film pur incassando bene, risultò un flop a confronto con i titoli precedenti. Il primo motivo è da individuarsi ovviamente nella sostituzione di Sean Connery, contrattualmente in rotta con i produttori Saltzman & Broccoli e compresso nei panni del personaggio ideato da Ian Fleming, con lo sconosciuto e aitante australiano George Lazenby. L'altra probabile ragione è che per la prima e unica volta un episodio della serie non si chiude con l'happy ending, anzi.... Le due cose insieme traumatizzarono il pubblico che non riuscì ad affezionarsi al film e in molti casi disertò il rituale appuntamento. Unica eccezione la fortunata title-track, "All the time in the world" cantata da Louis Armstrong che fece storia a sè. Peccato perchè per il resto "Al servizio segreto di Sua Maestà" resta invece per l'originalità del plot, lo humour che lo pervade, le tante scene d'azione, le sequenze spettacolari nelle Alpi svizzere, l'ambientazione nevosa e natalizia, uno dei migliori Bond di sempre. Anche il cast era molto glamourous: la magnifica Diana Rigg, che da interprete della serie britannica Agente speciale (The Avangers) più che la solita Bond-girl, era l'equivalente femminile televisivo di 007, Telly Savalas, invece non ancora Kojack per il piccolo schermo, un perfetto Stavro Blofeld, capo della Spectre, così pure Gabriele Ferzetti nei panni del super gangster corso, futuro suocero di Bond, oltre ai soliti Bernard Lee (M), Lois Maxwell (Miss Moneypenny) e ad uno stuolo di efficaci caratteristi. Insomma un James Bond sfortunato (in tutti i sensi) e dimenticato ma ancora godibilissimo, dunque da recuperare.Ugo G.Caruso
Capolavori Sconosciuti 13°appuntamento (martedì 21 aprile 2015)
Per il tredicesimo appuntamento del ciclo
"I capolavori sconosciuti" secondo Ugo G. Caruso
IL CANDIDO ADOLESCENTE DI PROVINCIA E LA TENERA SEXY STAR PERDUTI A BUENOS AIRES!
Martedi 21 Aprile alle ore 21.00
Alphaville Cineclub, ospita, per il tredicesimo appuntamento del ciclo "I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso", il film di Alejandro Agresti
Una noche con
Sabrina Love
(Argentina - Spagna - Italia - Francia - Paesi Bassi 2000).
La serata, promossa insieme al Tango Bar "Astor Piazzolla", da molto tempo attivo al Pigneto, sarà introdotta dallo stesso Caruso che avrà come ospite lo sceneggiatore argentino Ignacio Paurici, da anni residente in Italia.
Delicato ed ironico romanzo di formazione, il film racconta infatti di Daniel Montero, un ragazzo di diciassette anni, orfano dei genitori, che vive insieme alla nonna a Curuguazu`, uno sperduto paese nel sud dell'Argentina dove svolge un lavoro che non gli piace in un'azienda aviaria. A parte le serate con gli amici , l'unico svago di Daniel è guardare ogni notte il suo programma preferito in tv, un sexy show con la pornostar Sabrina Love. Quando insperatamente , grazie ad una cartolina, vince il concorso indetto dal programma televisivo gli sembra di toccare il cielo con un dito. Il premio consiste infatti in una notte di sesso con Sabrina Love. Stufo della sua vita noiosa, dei continui richiami del suo datore di lavoro e delle inondazioni che isolano regolarmente il paese dal resto del mondo, Daniel raggranella un gruzzoletto e parte alla volta di Buenos Aires. Il viaggio però è alquanto avventuroso ed assume da subito un andamento picaresco. Infatti con mezzi di fortuna attraversa la sterminata pampa argentina alternando vere e proprie disavventure ad incontri con strani personaggi che con i loro strampalati consigli si riveleranno importanti per la sua crescita. Giunto infine a Buenos Aires, Daniel scoprirà il lato cialtronesco della rete televisiva ed in attesa della tanto sospirata notte d'amore con Sabrina Love si metterà sulle tracce del fratello maggiore, Enrique, che non sa della morte dei genitori. Questi gli apparirà molto cambiato e dedito ad una vita insospettabile. Intorno a lui si creerà casualmente una sarabanda di figure che daranno vita ad una sorta di ronde bonaerense come nella scena centrale del film, quella ambientata nella milonga dove finiscono per convergere i vari personaggi: Julia, la matura amante del fratello, il poeta Carmelo che vive di notte frequentando i caffè del centro, la giovane e spregiudicata Sofia, telegiornalista alle prime armi, che lo seduce un sabato sera e naturalmente l'enigmatica Sabrina Love con il suo produttore cinico e nevrastenico e tutta la caratteristica troupe televisiva. Al termine di questa breve ma intensa e frastornante esperienza, Daniel tornerà a Curugazù ma con uno spirito mutato che gli farà affrontare la vita in modo diverso da prima. Inedito nelle sale italiane e pertanto sconosciuto ai critici "togati", maltrattato dai soliti improvvisati scriba delle riviste on line che trinciano giudizi severi senza riuscire neanche a raccontarne attendibilmente la trama, Una noche con Sabrina Love - spiega Caruso, storico del cinema e curatore della rassegna - è invece una commedia divertente intrisa di malinconia, per metà racconto on the road e per l'altra metà racconto di un'iniziazione erotica alla vita e alla complessità eistenziale e tipologica di una metropoli. Scritto e diretto da un Alejandro Agresti paricolarmente ispirato che due anni dopo, con il film successivo, El Sueño de Valentin ci avrebbe dato un'altra opera deliziosa, il film fa ruotare attorno al giovane e candido Tomas Fonzi uno stuolo d'attori convincenti come la almodovariana, bella e brava Cecilia Roth, il nostro Giancarlo Giannini, l'incantevole Julieta Cardinali, gli efficaci Fabian Vena, Norma Aleandro e Mario Paolucci. La musica, un nervoso nuevo tango di Paolo M. Van Brugge, asseconda le tante screziature della vicenda, mentre la fotografia è affidata all'italiano Arnaldo Catinari. U.G.Caruso
Capolavori Sconosciuti 15°appuntamento (giovedì 3 dicembre 2015)
Alphaville Cineclub
presenta il numero15 di
‘Capolavori sconosciuti’
Il Cinema invisibile a cura e con Ugo G.Caruso
Una fiamma nel mio cuore
Alain Tanner,Fr,1987, 100’
Torna la rassegna "I capolavori sconosciuti secondo Ugo G. Caruso" giunta al suo quindicesimo appuntamento per il quale giovedì 3 dicembre alle ore 21 è in programma al Cineclub Alphaville di Roma (V. del Pigneto, 283) un film del regista svizzero Alain Tanner che a cavallo tra gli anni settanta e il decennio successivo si impose come uno degli autori più interessanti del panorama europeo. La scelta di Caruso è caduta stavolta su un film che al tempo vide in anteprima e recensì nel quadro di una rassegna informativa sul cinema elvetico, svoltasi a Roma nel 1987 e rimasto per varie ragioni tra i suoi affetti cinematografici. Parliamo di "Una fiamma nel mio cuore" ("Une flamme dans mon coeur", Svizzera-Francia 1987), scritto e sceneggiato dal regista insieme con la protagonista del film, l'attrice Myriam Mézières, presenza ricorrente nella sua filmografia, come pure in quella di un outsider del cinema francese come Paul Vecchiali. "Una fiamma nel mio cuore" racconta due storie d'amore vissute a Parigi, a breve distanza l'una dall'altra, dalla stessa donna, Mercedes, un'attrice che si divide tra il teatro classico e gli spettacoli erotici in un baraccone di Pigalle. La prima delle due, segnata da una forte passione, è con un giovane algerino (Aziz Kabouche) ma si conclude burrascosamente a causa della possessività di lui che non accetta lo stile di vita libero della compagna. E così al termine dell'ennesima discussione, lei sentendosene soffocata, lo lascia. La seconda inizia quando in metro Mercedes incontra Pierre (Benoit Regent), un giornalista francese che la porta con se in Egitto dove si reca per un reportage. Qui la situazione si capovolge. Dunque stavolta è lei a provare una gelosia irrefrenabile per il partner compromettendo l'equilibrio del rapporto... Senza dire altro sullo snodarsi della vicenda, va rimarcato il finale che ritrae in primo piano il volto intenso ed irrequieto di Mercedes sullo sfondo del Cairo. Il film, concepito sulla falsariga della vita reale della protagonista, rivela la grande libertà creativa con cui è stato realizzato mettendo in scena Myriam Mézières, anima e corpo nudi, come in certe sequenze erotiche sorprendenti per il loro realismo magnificamente reso dal bianco e nero della fotografia di Acacio de Almeida. Episodio interessante e piuttosto a se stante nella filmografia di Alain Tanner, ancora una volta assecondato dal produttore portoghese Paulo Branco, "Una fiamma nel mio cuore" lasciò una forte impressione - e non poteva essere diversamente - in quanti lo videro all'epoca. Da molti anni il titolo è irreperibile in dvd e dimenticato dalle emittenti televisive, motivo per cui l'occasione offerta dall'Alphaville non può essere perduta. Ugo G.Caruso