!Li salvi chi può!
Un 2014 all’insegna di nuovi, appetibili, necessari appuntamenti per Alphaville Cineclub che infatti propone, da martedì 21 gennaio con cadenza periodica, il nuovo format !LI SALVI CHI PUO’!, contenitore appassionato di cinema passato e presente, d’autore o ancora no, che, pur essendo stato regolarmente ospite nelle sale con recensioni superbe e distribuito successivamente nell’home video con altrettanti spesso splendidi giudizi di critica e di pubblico , è andato poi del tutto dimenticato, finendo in un cono d’ombra dal quale è difficile se non impossibile uscire… Eppure i temi, le storie, il tocco magico della regia, gli ambienti, gli attori meriterebbero un’altra chance…
Ad Alphaville è possibile salvare i bei film dall’oblio del tempo e della memoria corta!
Periodicamente dunque verranno proposti titoli attualissimi e di tutto rispetto che solleticheranno l’appetito cinefilo degli spettatori e contribuiranno a rilanciare, almeno speriamo, le pellicole selezionate con amorevole cura al grido di “li salvi chi può’!!!"
!LI SALVI CHI PUO'! 1° appuntamento (21 gennaio 2014)
Naufrago sulla luna
Titolo Originale: Kimssi pyoryugi
Titolo Inglese: Castaway on the moon
Anno: 2009
Paese: Corea del Sud
Durata: 116 minuti
Regia: Hey-jun Lee
Sceneggiatura: Hey-jun Lee
Attori Principali: Jae-yeong Jeong, Ryeowon Jung
Naufrago sulla luna (Castaway on the Moon) non è uno di quei classici film fantasy ambientati da qualche parte nell'universo… un microcosmo nel macrocosmo in realtà c'è, ma navicelle spaziali e quant'altro di più fantascientifico possa esistere non fanno parte della pellicola coreana, splendido esempio di cinema orientale la cui forza è quella di riuscire, anche in un momento di crisi a tutti i livelli come quello dei tardi Anni Zero, a garantire una manciata di lungometraggi destinati a non essere dimenticati. Castaway on the Moon appartiene senza dubbio alla categoria e non potrebbe andare diversamente con un soggetto simile, uno dei migliori del decennio…Kim, il protagonista del film , si è allontanato da tutto ciò che è avanguardia, modernità, tecnologia, l'unica cosa che ancora ha in tasca di tecnologico è il cellulare... ma con batteria scarica! Ha provato ad abbandonare il mondo terreno per sfuggire alla vita stressante nella contemporanea e progressista Seul, ma l'isoletta nel quale è capitato dopo aver tentato il suicidio ed essersi abbandonato nelle acque del fiume Han è tutt'altro che paradiso soprattutto per lui, abituato ad ogni tipo di comodità! Ancora vestito da impiegato inizierà pian piano a spogliarsi degli abiti ‘civili’, liberandosi di quel mondo che lo aveva oppresso per tutto quel tempo e trasformando dunque la sua permanenza lì da forzata in volontaria ed arrangiandosi di conseguenza con olio di gomito e scarni oggetti che arrivano all'isola trasportati dalla corrente. Dall'altra parte della città c’è un'altra anima sola, quella della giovane hikikomori Kim Jung-yeon, stesso nome ma declinato al femminile che, al contrario dell'uomo, vive contornata dalla tecnologia (computer, stampante e macchina fotografica) e da circa tre anni ha deciso di vivere chiusa nella sua camera buia per scelta e senza aver contatti con l'esterno se non attraverso Internet. La società è la piaga che affligge entrambi, quella consumistica e quella che ama piacere, rivolta solamente all'aspetto fisico ed alla chirurgia plastica, in netta opposizione alle belle anime dei protagonisti. Due solitudini diverse ed opposte che, come nella migliore commedia Fantasy/romantica, alla fine della storia si incontreranno. Lei, osservandolo attraverso lo zoom, verrà subito affascinata da quest'uomo solitario, lui invece non la vedrà mai in faccia, ma il mistero e la disponibilità di lei ad offrigli aiuto lo incuriosirà. Due prigionieri che alla fine dei giochi si libereranno, lei si convincerà della sua bellezza interiore mettendo da parte le preoccupazione sul suo aspetto fisico ed uscendo alla luce del giorno, lui riuscirà a raggiungere la città ridiventando cittadino del mondo. Divertente, emozionante, straziante per questo incontro dalla fine non scontata, conserva nel cuore e nell’animo dello spettatore una storia d'amore fragile, semplice e profonda, di quelle che solo il cinema orientale sa raccontare con stile e sensibilità! Castaway on the Moon, sotto l'apparenza, rapidamente scongiurata, di semi-parodia del quasi omonimo film di Robert Zemeckis (con tocchi de La leggenda del re pescatore di Gilliam), cela ambizioni ben più profonde e costituisce qualcosa a metà tra un grido di allarme e un lamento di dolore sulla crudeltà della società coreana…e non solo!
Ai cinèphiles il compito di stanare i bei titoli dimenticati… a noi di Alphaville il dovere di iniziare l’imperdibile serie con un titolo coreano davvero di successo all’epoca, quel Naufrago sulla Luna (Castaway on the moon il titolo originale) che ancora oggi, in toni di commedia fantastica, racconta un passato molto presente ed universale della nostra società … e non solo in Oriente!!!
Vi aspettiamo dunque numerosi martedì 21 gennaio alle 21.00 per il primo appuntamento con LI SALVI CHI PUO’… e a presto con il prossimo salvataggio!!!
!LI SALVI CHI PUO'! 2° appuntamento (17 febbraio 2014)
Pericolo nella dimora
Un film di Michel Deville
con Michel Piccoli, Richard Bohringer, Anémone.
Titolo originale: Péril en la demeure.
Thriller, Francia, 1984 , 101'
David Aurphet, un giovane insegnante di chitarra, viene assunto da un ricco uomo d’affari, Graham Tombsthay, per dare lezioni di musica alla figlia adolescente Vivianne. Fin dalla sua prima visita alla villa dei Tombsthay, David viene irretito dall’affascinante padrona di casa, Julia, con la quale inizia ben presto una focosa relazione clandestina; qualcuno, però, sta spiando di nascosto i due amanti…
Il regista francese Michel Deville porta sul grande schermo un romanzo di René Belletto, “Sur la terre comme au ciel”, adattato dallo stesso Deville insieme a sua moglie Rosalinde. Presentato al Festival di Berlino del 1985 e vincitore del premio César per la miglior regia, “Pericolo nella dimora” è una storia dai contorni noir in cui Deville torna sui terreni del thriller psicologico, già sperimentati nel 1981 con il precedente “Acque profonde”. Al centro della vicenda c’è il personaggio di David Aurphet (Christophe Malavoy), un ingenuo insegnante di musica che viene ingaggiato dal ricco Graham Tombsthay (Michel Piccoli) e che si lascerà sedurre senza troppa fatica dalla sua provocante moglie Julia (Nicole Garcia), ritrovandosi proprio malgrado coinvolto in un pericoloso labirinto di inganni e di menzogne. Partendo da uno schema narrativo tipico del genere noir, Deville esaspera gli elementi in gioco, complicando il classico triangolo marito/moglie/amante mediante l’inserimento di altri personaggi: l’ambigua Edwige Ledieu (Anémone), la maliziosa vicina di casa dei Tombsthay, e l’impenetrabile Daniel Forest (Richard Bohringer), un bizzarro sicario che stringe amicizia con David. L’atmosfera torbida e inquietante del film è poi accentuata dal tema ossessivo del voyeurismo, rappresentato dalle videocassette spedite al protagonista e dalla consapevolezza dell’uomo di essere spiato da un occhio misterioso (con una riflessione metacinematografica che rimanda direttamente al cinema hitchcockiano).A metà strada fra il thriller erotico (con alcune ardite scene di passione fra Malavoy e la Garcia), il giallo psicologico e la commedia nera, “Pericolo nella dimora” è un film perversamente affascinante, ancora più apprezzabile se si è disposti a chiudere un occhio su qualche passaggio narrativo un po’ contorto, lasciandosi sorprendere dai numerosi colpi di scena offerti via via dalla trama. Puntuale il cast che, oltre alla seducente femme fatale di Nicole Garcia, include un terzetto di efficaci comprimari (Richard Bohringer, Anémone e il veterano Michel Piccoli). Nella colonna sonora, musiche di Brahms, Schubert e Granados.
Vi aspettiamo dunque numerosi lunedì 17 febbraio alle 21.00
per il secondo appuntamento con
!LI SALVI CHI PUO’!
… e a presto con il prossimo salvataggio!!!
!LI SALVI CHI PUO'! 3° appuntamento (24 febbraio 2014)
Sgomento
Un film di Max Ophüls,
Thriller, USA, 1949 , 82'
Lunedì 24 febbraio h 21.00
!Li salvi chi può!
Il 3° nuovo appuntamento con il cinema bello e dimenticato introdotto e commentato da Rosario Tronnolone!
Straordinario ultimo film hollywoodiano di Max Ophüls, uscito nel 1949, esattamente un anno prima del ritorno in Europa (in Francia) per dirigere uno dei suoi capolavori più celebrati: La Ronde. Ma nella apolide carriera del maestro tedesco il periodo americano è da molti considerato minore: dieci anni e cinque film spesso trascurati in retrospettive o rassegne. Sarà anche così, ma qui ci troviamo di fronte ad un noir di un fascino ancora oggi avvolgente e contagioso.
Si parte da un omicidio: una ragazza uccide per caso il suo amante (un delinquente di poco conto) e la madre scopre il cadavere, lo nasconde e cerca di far proseguire l'esistenza della sua famiglia felice come se niente fosse (… ricordate il Benny’s video anni ’90 di Michael Haneke?!?). Poco dopo però un misterioso uomo (un immenso James Mason) inizia a ricattare la donna perché dimostra di sapere qualcosa su quell’omicidio. Tra i due nasce una strisciante passione repressa…e il noir esplode: la famiglia attaccata da un male improvviso e tenebroso; la morte dietro l’angolo; la sfida alla propria moralità e la salvaguardia dell’innocenza, l’amore perverso e l’amore salvifico; il dopoguerra in Europa che tiene lontano dalla “scena” il marito perché c’è un muro in costruzione a Berlino che sta per dividere due mondi. Ophüls contamina il noir classico americano con i suoi stilemi registici ed insinua nella configurazione hollywoodiana inaspettati elementi rosselliniani (semplicemente perfetta nella sua tensione uomo/ambiente la sequenza del ritrovamento e occultamento del cadavere, inquadrature che sembrano veramente girate dall’ultimo Rossellini). Pochissimi primi piani e continui piani sequenza in una regia che fa danzare i personaggi nell’ennesima "ronde": la mdp di Ophüls ha sempre oscillato tra la sublime leggerezza del filmare e la terribile consapevolezza dell’ineluttabilità del destino. Ed ecco che The Reckless Moment (Sgomento) diventa uno straniante oggetto filmico, unico nel suo genere, che parla di America attraverso un linguaggio tutto europeo: James Mason incarna una sorta di straniero alla Camus che ritrova speranza nell’amore di colei che ricatta e la sua parabola di morte ha evidentissime connotazioni dostoevskiane. Altra caratteristica classicamente ophulsiana è la figura della donna forte, sopraffatta dagli eventi e dai suoi sentimenti. Insomma: la superba leggerezza registica dell'autore, anche quando è imbrigliata in copioni di ferro, riesce sempre ad evadere da regole e costrizioni trovando nuovi orizzonti di sfogo…
Non ci sono periodi minori o maggiori:
Max Ophüls è semplicemente uno dei più grandi cineasti mai esistiti!
Vi aspettiamo dunque numerosi lunedì 24 febbraio alle 21.00
per il terzo appuntamento con LI SALVI CHI PUO’…
e a presto con il prossimo salvataggio!!!
!LI SALVI CHI PUO'! 4° appuntamento (17 marzo 2014)
Lunedì 17 marzo h 21.00
Li salvi chi può!
Il 4° nuovo appuntamento con il cinema bello e dimenticato…
I Santissimi
Un film di Bertrand Blier,
Comm, Fr, 1974 , 105'
Aura Libertaria anni’70:
l’esordio trasgressivo di Bertrand Blier
Jean-Claude (Gérard Depardieu) e Pierrot (Patrick Dewaere) sono due giovani sbandati che passano il tempo nel loro quartiere di periferia tra furtarelli, scippi e altre prodezze teppistiche. Un giorno, dopo aver molestato un’anziana signora nel parcheggio di un supermercato, se ne vanno a scorrazzare a bordo di una Citroën DS, presa "in prestito" al titolare di un negozio di parrucchiere. Quest’ultimo li sorprende nel momento in cui stanno riparcheggiando l’auto nel posto in cui l’avevano trovata. Li blocca minacciandoli con una pistola. La discussione si fa concitata e i due giovani tentano di darsi alla fuga, portandosi dietro Marie-Ange (Miou-Miou), sciampista e amante del parrucchiere. Parte un colpo e Pierrot viene ferito. Curato in maniera rocambolesca, riesce a cavarsela e, per verificare l’avvenuta guarigione, Jean-Claude gli consiglia di accoppiarsi con Marie-Ange. Quest’ultima accetta passivamente, senza alcun problema, ma non provando alcun piacere. La ragazza diventa intimamente amica dei due, fa l’amore con entrambi, ma sempre con il più totale distacco. Jean-Claude e Pierrot ne sono comunque attratti, vorrebbero che scoprisse le "gioie dell’amore" e proseguono in sua compagnia nelle loro scorribande. Nel loro allegro e incosciente percorso, ne combineranno di tutti i colori, faranno incontri sorprendenti, impareranno a conoscersi attraverso esperienze avventurose e spesso libertine.
"Les valseuses" è il trionfale esordio di Bertrand Blier nel lungometraggio e rappresenta ancora oggi il classico "cult", ben al di là delle giovani generazioni dell’epoca. Il film - terzo incasso nelle sale francesi nel 1974 - è rapido nella successione degli eventi, scapigliato e trasgressivo nei dialoghi come nelle scene grottescamente erotiche. I personaggi vivono in una dimensione asociale, amano - sì - ridere e divertirsi, ma sono confrontati a drammi umani reali, cui danno le loro personalissime e spesso strampalate risposte. Dopo questo impressionante successo, Gérard Depardieu e Patrick Dewaere si confermeranno a più riprese come grande coppia della commedia francese d’autore. Ai due si affianca Miou-Miou, in uno dei suoi ruoli più riusciti in inizio di carriera. Si offre ai suoi partners come allo spettatore con impudicizia sfrontata e innocente (ama e non partecipa, ma arriva l’inaspettato colpo di scena), disarmando con la sua sincerità anche il più accanito voyeur. Non riesce naturalmente a passare inosservata la breve partecipazione, nella parte finale del film, di Isabelle Huppert, adolescente scalpitante e paffutella, che lascia la famiglia piccolo-borghese per accodarsi all’allegra e sconclusionata brigata. Un importante film, che rende in maniera scapestrata ma intelligente l’aria libertaria e libertina di quegli anni. Alla sua uscita, divise i giudizi tra chi lo osannò per la sua libertà di espressione e chi deprecò la simpatia suscitata da personaggi tutt’altro che raccomandabili, un po’ come gli anatemi lanciati su Alex e la sua banda all’uscita di « Arancia meccanica » di Stanley Kubrick (1971).
Introduzione e commento al film a cura di
Patrizia Salvatori
Che l’esprit libre sia con noi!
!LI SALVI CHI PUO'! 5° appuntamento (24 marzo 2014)
Lunedì 24 marzo h 21.00
Li salvi chi può!
5°nuovo appuntamento con il cinema bello e dimenticato…
L’uomo Caffellatte
Un film di Melvin Van Peebles,
Comm, USA, 1970, 97'
Una serata davvero esilarante per tutti i cinephile amanti della commedia ‘seria’ ma non seriosa con la quinta ‘puntata’ di LI SALVI CHI PUO’!, questa volta all’insegna di una messinscena del 1970 tra il paradossale e l’impegnato (è il razzismo il tema portante del plot) di grande successo in USA all’epoca, firmata da un famoso autore del genere in questione, Melvin Van Peebles, qui in forma smagliante…Stiamo per ri-vedere dunque L’uomo caffellatte (The watermelon man), divertentissima pellicola socialmente utile che pone al centro della storia un imprevedibile e sganasciante ‘cambio di pelle’ che permetterà al malcapitato protagonista, un razzista doc, di provare a proprie spese l’emarginazione della diversità… e a noi di ridere a crepapelle sulle sue disgrazie!!!
"L'Uomo Caffelatte" è una commedia diretta da Melvin Van Peebles nel 1970 sul tema del razzismo nell'America borghese, puntando sull'ironia piuttosto che sul moralismo austero. Il film è molto brillante, a tratti irresistibilmente comico e sceneggiatori e regista sono bravi a sfruttare i luoghi comuni sulle diversità razziali al fine di creare situazioni paradossali con concatenazione di eventi capaci di trascinare il protagonista in una vicenda assurda, del tutto priva di logica.
Jeff Gerber è un assicuratore bianco, appartenente al ceto medio, dedito alla carriera ed alla forma fisica (ogni mattina fa ginnastica, poi "gareggia" con il bus correndo a piedi per andare al lavoro, si fa le lampade ecc...), ma è anche razzista e borioso. Insomma, una vita sistemata e tranquilla, incasellata in un certo tipo di ambiente liberale solo di nome, finchè un bel mattino (anzi un pessimo, ma proprio pessimo mattino), si sveglia "nero". Da questo momento ha inizio una serie di disavventure incredibili (a partire dalla moglie che, ovviamente, lì per lì non lo riconosce e si spaventa a morte) che abbracciano le sfere del lavoro e della vita privata. Ovviamente Jeff non si arrende e cerca una "cura": si fa vedere da dottori, fa il bagno nel latte, si ricopre di sostanze "sbiancanti". Purtroppo per lui, tutti gli sforzi sono vani. Le gag si susseguono a ripetizione ed il protagonista passa da stati di profonda depressione a momenti d'ira funesta (ad esempio aggredisce un fattorino reo di avergli consegnato un lettino solare, precedentemente ordinato). Questa "trasformazione" innesca un meccanismo tale che tutte le persone che lo circondano (colleghi, amici, vicini di casa - che si prodigano pure in telefonate minatorie) in breve lo abbandonano. Il finale è molto interessante, decisamente inusuale per una commedia leggera e dai buoni sentimenti come questa. "L'Uomo Caffelatte" non fa solo la morale, in modo simpatico e senza calcare la mano, all'uomo razzista, ma in alcune sequenze punta il dito anche sulla società e sull'ipocrisia di essa. Quando il Jeff "nero" corre per la prima volta con l'autobus, viene subito braccato dalla folla perchè tutti sono convinti che abbia rubato qualcosa ("L'hai visto rubare?" chiede un passante, "No, ma un negro che corre ha rubato qualcosa per forza" risponde un altro); quando, invece, il capo si accorge del cambiamento di Gerber, in lui vede solo l'opportunità di avere un agente per un nuovo sbocco sul mercato nero. Spassoso nelle trovate comiche e capace di non scivolare in quella facile e banale retorica antirazzista di cui Hollywood spesso è portatrice sana(!?!), sa essere arguto senza nulla di stucchevole. Significativa è la scelta dell'interprete protagonista Godfrey Cambridge, attore nero, truccato da bianco nella prima parte (ribaltando la consuetudine del vecchio cinema muto!!!).Font www.debaser.it/recensionidb
Introduzione e commento al film a cura di
Patrizia Salvatori
Indovinate chi viene a cena …
!LI SALVI CHI PUO'! 6° appuntamento (31 marzo 2014)
Lunedì 31 marzo h 21.00
Li salvi chi può!
6°nuovo appuntamento con il Cinema bello e dimenticato…
"Piccoli Omicidi"
Un film di Alan Arkin,
Comm/Grott, USA, 1971, 110'
Con Elliott Gould, Marcia Rodd, Vincent Gardenia, Lou Jacobi, Alan Arkin, Donald Sutherland
Una chicca davvero brillante dedicata a tutti i cinephiles amanti della commedia grottesca eversiva e mai seriosa con la sesta ‘puntata’ di LI SALVI CHI PUO’!, questa volta all’insegna di una messinscena del 1971 ispirata ad un eversivo testo teatrale di Jules Feiffer, noto vignettista seventies di grande successo in USA all’epoca, firmata Alan Arkin (artista yiddish noto anche nel cinema contemporaneo come protagonista di pellicole cult), qui nelle vesti di regista ed in forma smagliante… Stiamo per ri-vedere dunque Piccoli omicidi (Little Murders), pellicola davvero originalissima e brillante nei dialoghi come nel disegno dei personaggi, peraltro affidati ad interpreti collaudati e noti per bravura ad un pubblico non solo pop, che pone al centro della narrazione il matrimonio di una coppia d’artisti, lei arredatrice, lui fotografo pacifista… Quando misteriosamente la donna ha la peggio, la spirale della violenza innescata dalla sua scomparsa non guarda più in faccia nessuno…
Cosa puoi fare quando la vita ti mette all'angolo e i dispiaceri sono tanti? Bè, puoi cercare rifugio nella mitologia e nel massacro del tiro alla fune delle tribù legaiole, puoi pregare Quelo, puoi farti mettere all’angolo come Tommaso Crociera da qualche imbonitore di fiera delle varie sette che il nostro sistema ti offre comodamente e tranquillamente anche a casa tua, tante cose insomma… Oppure puoi fare come Elliot Gould, Vincent Gardenia e relativi familiari in questo piccolo e meraviglioso film degli anni 70.
L'America sta attraversando uno dei suoi soliti periodi di crisi, come da confederazione presenzialista ed esibizionista nonostante non abbia nulla da mostrare. La giovane Patsy interviene per salvare da un pestaggio il giovane fotografo Alfred… il quale la lascia da sola a prenderle dai tipacci che popolano le città di ogni mondo. Lei è incredula e sbigottita di fronte a tanta codardia, ma poi scopre che trattasi di nichlismo e allora… dai ti amo, ma si! Lei è una che crede nella vita, l'amore, dinamica, allegra, risoluta, trova in quel giovane scazzato, apatico, nichilista, un uomo perfetto:lo costruirà come vuole lei.
La famiglia della ragazza è assai strana: fratello gay, isterico, e irriverente, padre reazionario e brontolone, mamma che vive per la casa e la famiglia. I due decidono di sposarsi, ma vogliono un matrimonio ateo. Solo che nessuno glielo permette: stai scherzando i dollari hanno scritto In god we trust. Per cui liberi si, ma anche no! E dai!
Bè, trovano uno stranissimo prete-il grande Donald Sutherland-che mette in scena la più bella cerimonia matrimoniale mai vista al cinema, che tempi quelli lì eh?
Il problema è che lei è fiduciosa e viva, lui invece… ve l'ho detto che è nichilista?
Un giorno mentre però pare che il matrimonio possa ingranare e loro sono felici, il vicino di casa spara dalla finestra. Così, perchè si. Perchè nella nazione che pretende di essere il mondo, ma nella sostanza fatica ad essere il centro di cusano milanino, la paranoia, la follia, l'angoscia, si trasforma in atto omicida. Piccoli omicidi: quotidiani, normali, liberatori. Peggio degli animali … E così sarà: la famiglia distrutta, la vita cancellata, che esplode in gioia e felicità perchè si uccide a casaccio, senza motivo, tanto per fare.
Piccoli omicidi. Il film, tratto da una commedia teatrale, è diretta benissimo dal celebre attore Alan Arkin che compare anche come ispettore di polizia. Una satira feroce, crudele, irriverente, disperata, amarissima. Insomma il buon cinema della stagione della new Hollywood, poi il sistema ci farà arruolare nelle guerre stellari, ma si va...
Un film notevole perchè fino agli ultimi 30 minuti è una spassosa commedia sentimentale, poi la follia totale e un finale raggelante. Lo avete messo in lista? Sembra girato ieri… Font Pubblicato da babordo76
Piccola raccomandazione: chiudete le finestre!
Introduzione e commento al film a cura di
Patrizia Salvatori
!LI SALVI CHI PUO'! 7° appuntamento (7 aprile 2014)
Lunedì 7 aprile h 21.00
Li salvi chi può!
7°nuovo appuntamento con il Cinema bello e dimenticato…
Taking off
Un film di Milos Forman, Comm, USA, 1971, 94'
ANNO: 1971
PAESE: USA
REGIA: Milos Forman
SCENEGGIATURA: Jean-Claude Carrière, Milos Forman, John Guare, Jon Klein
ATTORI: Lynn Carlin, Buck Henry, Georgia Engel, Tony Harvey, Audra Lindley, Paul Benedict, Vincent Schiavelli, David Gittler, Tina Turner, Linnea Heacock, Rae Allen, Frank Berle
DURATA: 94 Min
FOTOGRAFIA: Miroslav Ondrícek
MONTAGGIO: JohnCarter
MUSICHE: Mike Heron
PRODUZIONE: UNIVERSAL PICTURES
Continuano con grande successo i sempre più appetibili e puntuali appuntamenti dello storico Cineclub Alphaville che prevedono, per questo primo lunedì di aprile, una chicca very Hippie dedicata a tutti i cinephiles amanti della vena e del talento umoristico di stampo boemo del grande regista ceco Milos Forman, qui assoluto protagonista della settima, originale, ‘fricchettona’ ‘puntata’ di LI SALVI CHI PUO’!, stavolta all’insegna di una messinscena di grande successo in USA nel 1971, anno di uscita di Taking off, pellicola davvero originalissima e brillante in cui i conflitti generazionali americani del post sessantotto esplodono e si fanno commedia esilarante attraverso la storia di due coppie di genitori in crisi, iscritte entrambe alla ‘Società Genitori Figli Scappati’ che, nella ricerca sistematica dei rispettivi ‘pargoli’ fuggiti di casa, imparano con gusto a fumare marijuana e a cimentarsi in allegre gare di strip poker!
Taking off, appunti
Allarmati dal mancato ritorno a casa della figlia Jeannie, i coniugi Larry e Lynn Tyne a notte inoltrata chiedono la collaborazione degli amici Tom e Margot. Dopo aver denunciata la scomparsa a un commissario, Larry e Tom concludono le loro vane ricerche in un bar dove finiscono con l'ubriacarsi entrambi. Tornata spontaneamente a casa dopo aver partecipato a una manifestazione "hippie", Jeannie, esasperata dagli interrogatori minacciosi cui la sottopongono i genitori, si allontana di nuovo. Ancora una volta, Larry - accompagnato da Lynn - riprende le ricerche che, sulla base di errate segnalazioni della polizia, lo conducono in località piuttosto lontane. Tornati in città dopo un avventuroso viaggio, i due coniugi si rivolgono alla "Società Genitori Figli Scappati", dove sono indotti da alcuni membri della stessa a fumare marijuana per meglio comprendere la mentalità della gioventù "hippie". In preda alla droga, Larry e Lynn invitano nella loro casa altre coppie di genitori nelle stesse condizioni con le quali organizzano una festa piuttosto chiassosa. Tornata a casa, Jeannie coglie i propri genitori in atteggiamenti poco ortodossi e non esita ad approfittare della situazione per imporre loro di accettare come genero un giovane "hippie", del quale si è innamorata.
Tratto da una storia vera, Taking Off viene spesso interpretato come un ponte tra la produzione ceca ed americana di Milos Forman. Certamente questa sua prima prova statunitense si avvicina in molti aspetti ed approcci formali alle sue opere precedenti in terra cecoslovacca, con particolare riferimento alle citazioni dal suo primo film boemo Audition. Trasferendo con maestria il tema del conflitto generazionale e l’incapacità di comunicare in un altro contesto socio culturale, l’opera, traboccante humor da ogni sequenza, dipinge senza eccezione tutti i suoi protagonisti come ridicoli, anche se i genitori conformisti medio-borghesi americani appaiono nel plot oltreoceano assai più disorientati dei loro rozzi coetanei di qualche cittadina ceca e comunista!!! Sta qui probabilmente il segreto del successo del film, capace di narrare una storia fuori del tempo e dunque a suo modo universale che descrive con comprensione ed autenticità, ma anche con molta pungente ironia la confusione e le perplessità dei genitori i cui figli crescono, diventano indipendenti ed indecifrabili in quanto si rifiutano di vivere la vita di mamma e papà, ai loro occhi piena di rassegnazione, sacrifici, ipocrisie e compromessi quotidiani.
Milos Forman sul film
“…Cercavo di rendere il film il più autentico possibile. Non volevo per esempio che durante le scene di strip poker gli attori sapessero a chi sarebbe toccato spogliarsi la volta seguente. Perciò ho preparato personalmente le carte in modo da farli spogliare nell´ordine che mi serviva, ma loro stessi non sapevano nulla e giocavano – almeno la prima volta – per davvero.“
“…Prima di iniziare le riprese estive del 1970, lavoravo ormai da due anni sulla distribuzione dei ruoli. L‘aiuto principale in questo senso mi è stato dato dalla fotografa Mary Ellen Mark che veniva con me ogni fine settimana al Central Park. Qui ci sedevamo alla Bethesda Fountain, dove si mischiavano gli hippy ortodossi con quelli occasionali. Era uno spettacolo autentico e puro che non finiva mai. Mary Ellen faceva le foto ed io cercavo i personaggi per il mio film. Nel frattempo, raccoglievo inconsapevolmente il materiale per il film Hair.“
“…Abbiamo fatto quel film con 810.000 dollari soltanto. Io e Mike (il produttore Michael Hausman.) abbiamo per quel periodo rinunciato all‘onorario. Tutti gli attori lavoravano con gli stipendi al minimo. Per andare sul set prendevamo la macchina personale di Mike che era una carcassa incredibile. Io e Mirek Ondricek (il cameraman del film Miroslav Ondricek) eravamo seduti davanti e dietro stavano schiacciati i nostri protagonisti, Buck Henry e Lynn Carling insieme a un altro attore ancora.
Brevi note critiche
"In questa sua opera americana, il regista cecoslovacco getta uno sguardo penetrante e impietoso sul tipo di società nella quale ha avuto modo di imbattersi. Il sottile senso della caricatura, la capacità di raccogliere in brevi battute o in rapidi dettagli realtà paradossali e sconvolgenti dell'America odierna, la tecnica, infine, matura e raffinata, fanno sì che il film si imponga tanto per la qualità formali quanto per l'abbondanza del materiale offerto alla riflessione dello spettatore." (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 72, 1972)
Affascinanti episodi satirici e spregiudicati, in una bellissima rappresentazione di genitori apprensivi e de i loro bambini in fuga." (Dave Kehr, Chicago Reader, 2008)
Pace e amore … non dimenticatelo alla prossima riunione di famiglia!!!
Introduzione e commento al film a cura di
Patrizia Salvatori
!LI SALVI CHI PUO'! 8° appuntamento (12 maggio 2014)
Lunedì 12 maggio 2014 h 21.00
Li salvi chi può!
8°nuovo appuntamento con il cinema bello e dimenticato…
Luna Papa
Un film di Bakhtiar Khudojnazarov,
Rus/Ger/Aus/Sviz/Fr, 1999, 106'
I nuovi, appetibili, puntuali appuntamenti dello storico Cineclub Alphaville continuano, in questo inizio settimana maggiolino, con una serata davvero magica e visionaria per tutti i cinephile amanti delle storie fantastiche con l’ottava ‘puntata’ di LI SALVI CHI PUO’! ,questa volta all’insegna di una messinscena a cavallo tra il realismo magico e le opere oniriche di Jodorowski, con tanto Kusturica e circo ed arte pop e musica a gogò da perderci gli occhi e il cuore, forte di un successo in sala all’epoca della sua uscita, firmata da un autore giovane ed impronunciabile ma molto dotato che seppe farne un successo di pubblico e di critica… quel Bakhtiar Khudojnazarov, vera promessa del cinema anni 2000… Stiamo per ri-vedere dunque Luna Papa, allegrissima e sorprendente pellicola dell’Asia Centrale ambientata vicino Samarcanda che pone al centro della storia una gravidanza inaspettata e controversa ed una serie di accadimenti surreali e per questo strabilianti che ci incolleranno allo schermo sino alla parola fine!!!
Appunti spiritosi !
Provate voi ad imitare Mike Tyson. E’ un demerito che Luna Papa di Bakhtiar Khudujnazarov ricordi gli ultimi film di Kusturica, e specialmente Gatto Nero, Gatto Bianco. A parte il fatto che bisognerebbe dare medaglie d’onore a certi atti di incoscienza, bollare Luna Papa come semplicemente kusturiciano significa dimenticarsi un bel po’ di cose. Intanto, che lo stesso Kusturica ha ampi debiti verso, citando a casaccio, Magritte e Fellini, l’arte popolare e la musica punk, Jean Vigo e il realismo magico, Ivo Andric e Garcia Marquez, Abdhullah Sidran ed il circo, Alejandro Jodorowski e tutti i sogni che vi passano per la testa ogni notte, anche se non ve li ricordate. In secondo luogo, c’è molto altro in Luna Papa, anche a livello cinematografico: ci sono, solo per iniziare, Sergej Paradjanov e molto cinema sovietico, ad esempio. Insomma: non è falso che Luna Papa sia un film pieno di cose, ricordi, citazioni - anche di Kusturica. Ma provate voi ad imitare Mike Tyson, o Jimi Hendrix.
Segreti e bugie Resta invece, e siamo al secondo strato della cipolla, qualcosa di più meschino da analizzare. Si tratta del modo in cui quel grande e geniale registaccio di Kusturica ha fregato Luna Papa. Dopo aver buttato fuori dal concorso di Venezia, da concorrente, La Polveriera di Goran Paskalijevic, ha reagito all’offerta di essere presidente della giuria di Venezia 1999 bofonchiando: "Ne sono molto lieto, visto che sarà in concorso un film che amo molto, Luna Papa del mio amico Bakhtiar Khudujnazarov". Imbarazzante incidente diplomatico che ha costretto i selezionatori a esiliare Luna Papa in una sezione parallela del Festival e a fargli perdere la possibilità di aspirare ad un Leone d’Oro che i soliti ben informati davano come più che probabile. Ma vedendo Luna Papa appare evidente un altro motivo, oltre alla somiglianza con alcuni suoi film, che può aver stimolato in Kusturica amore tanto sospetto e dagli esiti tanto disastrosi. Luna Papa è prodotto da Karl Baumgartner della Pandora. Lo stesso che ha prodotto Underground e Gatto Nero, Gatto Bianco. Me lo vedo Kusturica che dà un morso al sigaro, sputa e s’innervosisce. Chiedetelo al suo musicista, Goran Bregovic, quanto è geloso di certe cose.
Del far cadere animali dal cielo Ok. Ce l’avete quasi fatta a passare gli strati della maledicenza e del pettegolezzo. Siamo quasi pronti per parlare di cinema. Cercate di far arrivare ossigeno al cervello. Ce ne vuole molto per guardare Luna Papa. Ci vuole fiato e resistenza. Perché il film è pieno di cose, di idee di regia e di scrittura, proprio come un film di Kusturica (lo ammetto, questo l’ho scritto apposta per provocarvi). Ma è anche veloce come può esserlo il cinema di uno nato, come Khudujnazarov, nel 1965. E’ veloce nel montaggio quanto nei movimenti interni alle inquadrature, sempre agitate da qualcosa, sempre percorse da qualcosa - cavalli, aerei, carri armati, chiatte, pecore in volo, sidecar, ambulanze, macchine della polizia, tetti di case. Luna Papa è probabilmente un film da record nella categoria maggior numero di entrate ed uscite di campo. Si tratta di una agitazione che corrisponde perfettamente alla vitalità, al moto inesausto dei sentimenti dei suoi protagonisti. In perenne corsa e sempre pronti a reagire, febbrili e folli. Nel costruire il suo universo immaginario (il villaggio in cui è ambientato il film è stato totalmente realizzato dall’eccellente scenografo del film), Khudujnazarov procede per accumuli e flash, in modo eccessivo ma, alla fine, coerente. Tanto che, quando un toro piove dal cielo sulla testa di due personaggi uccidendoli, la cosa non ci pare solo accettabile, ma anche logica. E’ un risultato non male in un’arte come il cinema, che, come tutti sanno, ha molto a che vedere con il far attraversare delle inquadrature a degli animali (se non ci credete, provate a rivedervi Fiume Rosso di Howard Hawks). Per innalzare una pietra di paragone, il massimo cui è giunto il cinema italiano in questo settore è dato dal volo di un botolo dalla finestra di un ospedale nel peraltro buono Il Grande Cocomero della Archibugi. Detto per inciso, il botolo non muore nemmeno, cosa che permette anche di realizzare una delle sintesi più azzeccate di quel film che mi sia stato dato di udire: è un film in cui un cane cade dal terzo piano e sopravvive. Per fortuna, in Luna Papa non c’è traccia di questo tipo di buonismo. Quando c’è da morire si muore (anche solo per una gazzosa).
Volevate la trama? Va bene: magari siete abituati a "Ciak" e vi dà fastidio essere arrivati sino a qui senza averci capito niente del film. A parte che è molto meglio così, e che il mio compito dovrebbe essere al massimo quello di costringervi a ragionare sopra Luna Papa dopo che lo avete visto o magari di farvi venire voglia di vederlo, posso giusto dirvi in due parole che il film racconta le vicissitudini di una buffa ragazza tagika, una specie di Gelsomina (rivedere La Strada di Fellini) ex-sovietica, e della sua scombinata famiglia.
Due o tre cose che Bakthiar sa del cinema. L’esilità della trama (la ragazza rimane incinta e lei, padre e fratello disturbato cercano in ogni dove il misterioso padre) non rende giustizia al film, che è largamente più divertente, animato ed intelligente della maggior parte delle cose che capita di vedere in sala. Se non vi è bastata come prova del talento di Khudujnazarov il fatto che riesca a far plausibilmente piovere manzi dal cielo (come le pietre sulla classe operaia, direbbe Ken Loach), vi posso anche dire che ha una bravura non comune nell’usare i suoni, e, quando si impegna, una grande capacità di sintesi e talento narrativo (oltre a, va da sé, un buon occhio visionario). Riguardo ai suoni, bastano i cavalli all’inizio del film e gli aerei in entrata ed uscita per far capire che il regista tagiko ci sa fare. Non è ancora un sound designer come David Lynch, ma è sulla buona strada.
Il ragazzo si farà E poi Khudujnazarov ha solo trentacinque anni. Che per il nostro cinema sono praticamente nulla: è un adolescente per la media d’età dei registi europei. E quindi gli scusiamo anche le sbandate! Ma sono, in fondo, difetti veniali. Luna Papa è un film divertente e godibile. Non possiamo che augurare un futuro radioso al suo regista (oltre a suggerirgli di adottare un nome d’arte: accidenti, non riusciamo a pronunciarlo, il suo cognome, nemmeno fosse come sarà l’ultima parola di questo articolo: Khudujnazarov).
Font reVision, Fabrizio Bozzetti
Introduzione e commento al film a cura di
Patrizia Salvatori
Attenti a quel che cade dal cielo…
ed agli amici di Tom Cruise, anche!